lunedì 14 novembre 2011

tutti nella mia cucina dove si insegnano le regole e la pazienza!

Venerdì pomeriggio...Un'altra settimana è appena trascorsa...
"Mamma,dai, giochiamo a "Intrugli e Miscugli!
Comincia così la magia, l'alchimia di materie prime di ingredienti e aromi che, grazie all’amore, si uniscono e si trasformano magicamente in gustose leccornie dagli invitanti profumi che raggiungono ogni angolo della casa.

Nella cucina di casa propria ogni bambino ama pasticciare, annusare, toccare, sporcarsi, assaggiare, fare i travasi da un recipiente all’altro, tagliuzzare ortaggi con i coltellini giocattolo, spremere agrumi per leccarsi poi le dita madide di quel succo dolce e aspro, giocare con l’acqua per lavare frutta e verdura, annusare le spezie, scrutare con aria interrogativa gli utensili più strani e osservare i gesti rituali della mamma mentre prepara da mangiare.
Tutti questi giochi e interazioni diventano ancora più significative quando si percepisce che hanno la funzione di educare e formare la personalità del proprio bambino, oltre a farci trascorrere momenti di qualità insieme.

Per me e mia figlia è stato ed è tutt’ora così. Ho sempre pensato che avrei voluto trasmetterle e tramandarle la parte migliore di me e le tradizioni più forti e radicate nella mia famiglia, oltre ad educarla nel modo più giusto, rispettando sempre se stessa, il prossimo e l’ambiente in cui si vive.
Regole e pazienza: ma quanto sono alti questi scalini!. Come si fa a salirli senza fatica?Abbiamo cominciato a fare le torte insieme... 

Così  mia figlia ha capito che c’è un’esatta sequenza per unire tutti gli ingredienti: prima quelli umidi e poi quelli asciutti, che la farina e il lievito vanno sempre setacciati per togliere tutti i grumi e che nella pasticceria è importantissimo pesare gli ingredienti (ecco la comparsa dei primi numeri sulla bilancia). Se tutte queste regole non vengono rispettate non si può fare un dolce. Con pazienza bisogna poi aspettare il tempo necessario alla cottura, senza mai aprire il forno, e con ancora più pazienza, si deve attendere che raffreddi per poter gustare il dolce che si è preparato!.

“Ciao ciao torta, cresci mi raccomando!” la nostra frase rituale mentre mia figlia con le manine polpettose immerse nei guantoni da forno infila la teglia nella pancia di uno strano elettrodomestico che crea i dolci.
Sono nati così momenti tutti per noi che trascorrevamo insieme, momenti che le hanno dato importanti insegnamenti e che le stanno tramandando una parte importante di me.

Ogni ricetta viene accompagnata da racconti di un viaggiatore che ha portato fino a noi il seme di un ortaggio, di un frutto, di una verdura. Ogni ingrediente che viene via via aggiunto ci parla di un animale che ne  ha reso possibile la realizzazione. Ogni pentola è la trasformazione di utensili che in passato avevano forme e usi diversi. Insomma, cucinare con mia figlia non è solo portare in tavola qualcosa di buono fatto da noi, ma anche capire usi e costumi del mondo e come ogni ingrediente è giunto nella nostra cucina: una piccola lezione di storia e di vita.

La maternità è un viaggio sorprendente che prende forma e si arricchisce di giorno in giorno, come un puzzle enorme di cui trovi i pezzi qua e là disseminati sulla strada della vita. Alcuni sai già dove trovarli, altri si materializzano all’improvviso come se fossero frutto di determinate azioni e decisioni, piuttosto che di altre. Allora provi a metterli uno accanto all’altro ti accorgi che combaciano perfettamente e che prendono vita in un disegno inaspettato e commovente.

E’ inevitabile: guardo mia figlia e vedo me stessa. La straordinaria somiglianza fisica, l’animo battagliero, la gioia di condividere un pasto insieme ai genitori, nonni e zii e di celebrare in modo conviviale  ogni momento importante della vita e ogni traguardo raggiunto, il coraggio di assaggiare anche alimenti non perfettamente in linea con i propri  gusti, la curiosità di vedere cosa succede se si mette insieme la dolce cannella con il pungente zenzero, il desiderio di sbirciare dall’oblò del forno per vedere che magia si crea al suo interno quando il calore raggiunge i lieviti che cominciano così a dare sempre più volume al composto.

Questo siamo  noi, una donna e una futura donna che si cercano e che inevitabilmente si trovano quando indossano un grembiule ricamato, ereditato da nonne e zie, e afferrano gli utensili da cucina. I nostri preferiti? La “lecca pentole”, la frusta e il setaccio per la farina.
La nostra passione? Tutto ciò che si crea con l’uso delle mani dall’unione di ingredienti semplici e antichi, utilizzati da altre donne, da madri e da figlie, da nonne e nipoti in epoche passate. Ingredienti che, come un sottile filo rosso, mettono in contatto  periodi lontani e generazioni di donne perché ci danno ancora le stesse sensazioni organolettiche di una volta, la stessa sensazione di protezione e di calore.

Acqua, farina, lievito bastano ad esempio per riportarmi indietro di vari decenni fino ai giorni d’estate in cui nonna Giuseppina, con il suo grembiule blu a fiorellini gialli, i folti capelli bianchi sempre pettinati ad incorniciare un volto dai tratti morbidi e dallo sguardo austero, approfittando di un po’ di frescura all’alba, quando nella campagna siciliana, la notte incontrava il giorno e il colore del cielo era ancora indefinito, faceva il pane e la pizza  per tutta la famiglia utilizzando i prodotti donati dalla terra coltivata da nonno Angelo, un instancabile contadino. Tutte e sei le nipoti correvano a scrutare quei movimenti veloci e precisi, frutto di un insegnamento che trovava radici in generazioni passate. Aspettavamo silenziose che nonna ci desse la nostra porzione di impasto.
Sedute una accanto all’altra, tutte sullo stesso piano di lavoro, con le mani immerse nella farina fino al punto di non riuscire più a distinguere le nostre dita da quelle di nonna, cominciavano i racconti ancora nitidi  di avventure vissute in una giovinezza che ormai era lontana  e riuscivamo a creare così forme strane di creature fantastiche che avrebbero preso vita dentro il maestoso forno a legna.
Non ho vividi ricordi di momenti così lontani dell’infanzia, ma fare il pane e la pizza con nonna Giuseppina rimane un momento indelebile, con i suoi odori e i suoi colori che avrà sempre un felice posto nel mio cuore e nella mia mente e sono queste le sensazioni che voglio trasmettere oggi a mia figlia. Sensazioni di momenti che durano nel tempo, perché il buon cibo è una delle cose che dona la sensazione di famiglia, di protezione, di sentirsi finalmente a casa.

Nei nostri pomeriggi trascorsi nella nostra piccola cucina, io e mia figlia proviamo a ritrovare i sapori che nascono dalla cooperazione di quattro mani che apprendono i movimenti l’una dall’altra con diligenza e con pazienza perché non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco! Ricordo che da piccola con mia madre e mia sorella provavamo a cimentarci nella realizzazione di pietanze che venivano create dall’assemblaggio di quello che offriva il frigorifero, nella grande cucina al quarto piano di un palazzo anni sessanta nella periferia di Roma, con il balcone colmo di piantine di erbe aromatiche, piena di vecchi cimeli che il passato aveva portato fin lì: un vecchio macinino per il caffè, una batteria di pentole di smalto arancione con dei grossi fiori gialli e rossi, un antico setaccio, una tavola di legno per stendere la pasta, tutta increspata e incurvata dall’uso, diverse rotelle taglia pasta e stampini per i biscotti, tanti stampini per i biscotti.
Ogni oggetto aveva la sua storia che veniva puntualmente raccontata da mamma durante l’uso, sempre legata a vecchi aneddoti della sua infanzia.  Era davvero divertente quando i dolci si gonfiavano nel forno e poi di colpo si afflosciavano inesorabilmente come se un folletto dispettoso avesse bucato la crosta in superficie, e le nostre risate riecheggiavano rumorosamente nella casa.
Pazienza” ci diceva mamma, allora ricominciavamo daccapo fino a quando il risultato era soddisfacente. Ecco l’insegnamento più importante che quelle giornate hanno impresso in me: non arrendersi mai e perseverare sempre. Sono convinta che nella cucina ci siano molte similitudini che ci legano alla vita quotidiana, che ogni pietanza possa riflettere lo stato d’animo di chi l’ha preparata e che non c’è bisogno di fare costosi corsi di cucina per creare piatti deliziosi.

Io ho ricevuto i primi rudimenti culinari proprio osservando le donne che mi hanno accompagnato nella crescita e poi ho integrato tali insegnamenti leggendo libri e riviste, ascoltando le signore al mercato che si scambiano le ricette davanti al banco del pesce, confrontandomi con le mie amiche, invitando spesso tanta gente a mangiare a casa mia e poi ho aggiunto sempre un ingrediente fondamentale che mia figlia ha notato subito: l’amore, tanto amore! Insomma, posso dire che, ho avuto delle ottime basi da mia madre e da mia nonna, ma la mia creatività mi ha spinta sempre a provare e riprovare per trovare nuovi accostamenti di sapori e nuove tecniche di cottura, a tenermi aggiornata e informata ma soprattutto a sorridere e fare “spalluccia” davanti ad un arrosto bruciato.

Questo è il mio universo. E’ come un abito che mi calza a pennello, in cui mi sento comoda e a mio agio e che nasconde la mia goffaggine e insicurezza. Ed è stata proprio mia figlia che un bel giorno è voluta entrare in questo mondo, attratta e incuriosita da questa mia passione sbocciata con la sua crescita. Gli strani rumori, gli sbuffi di vapore, gli odori, i nuovi sapori che proponevo a tavola ogni giorno e la gioia sul mio volto in quei momenti, sono stati per lei la chiave di accesso. Oggi ha nove anni e posso dire e da quando aveva due anni vive il mondo gastronomico con gli occhi di chi partecipa attivamente, dalla scelta all’acquisto dei prodotti da utilizzare alla realizzazione e condivisione familiare delle pietanze.

Ho pensato spesso al momento in cui mia figlia avrebbe camminato da sola per le strade del mondo, chissà in quale città, parlando una lingua diversa dalla mia, magari con suo marito e con i suoi figli, con una ventiquattrore da donna in carriera, o con la tuta spaziale nell’armadietto del suo ufficio alla NASA. Mi chiedo se tutti i suoi sogni diventeranno in qualche modo concreti, se dovrà accontentarsi di quello che il mondo le offrirà, o se lotterà con tutta se stessa per ottenere ciò che vuole. Più cresce e diventa autonoma, più questi pensieri prendono una forma concreta e ben definita. Non potrò più tenerla per mano tanto quanto vorrei, farle la coda ai capelli o tenerle lo zaino troppo pesante, ed è giusto che sia così, ma ciò che mi rende serena è la consapevolezza che il pensiero di me e di noi accompagnerà la sua e la mia vita anche negli angoli più remoti del globo.
Cosa posso dare di concreto a mia figlia una volta cresciuta abbastanza per essere autonoma da me? Cosa potrà farle ricordare ogni giorno di noi? Quali valori, quali certezze trasmetterà un giorno ai suoi figli? Questo blog nasce per dare una risposta a tutte queste domande: le nostre ricette.